Il primo dei sette documentari di Hombert Bianchi sulla Grande Guerra è dedicato all’analisi delle premesse storiche – geo-politiche, dinastiche, militari, sociali ed economiche – che portarono allo scoppio del conflitto. Ne esce un quadro complesso in cui le colpe, le responsabilità, le omissioni e gli errori dei vari paesi coinvolti si intrecciano ai processi storici di lungo periodo nel rendere inevitabile un esito che nessuno aveva davvero previsto.
In questa seconda puntata de La Grande Guerra, Carlo Lucarelli ci parla di un personaggio legato alla nascita dell’aviazione militare, il generale Giulio Douhet. Il racconto di Hombert Bianchi entra invece nel vivo delle vicende belliche con il passaggio dalla guerra di movimento alla guerra di trincea che, sul fronte occidentale, avviene fin dall’autunno del 1914. Intanto, l'Italia, corteggiata da entrambi gli schieramenti, si prepara ad intervenire a sua volta nel conflitto, nel maggio del 1915.
Nulla è più facile che illudersi. Perché l'uomo crede vero ciò che desidera? In questa massima dell'oratore greco Demostene possiamo individuare il fulcro del nuovo appuntamento con La Grande Guerra di Hombert Bianchi, dal titolo, appunto, Le illusioni. In questo caso le illusioni sono i desideri che i nostri connazionali proiettano sulla realtà all'inizio del primo conflitto mondiale. Innanzi tutto ci si aspetta una guerra rapida, di movimento, che volga piuttosto rapidamente a favore dell'Intesa. Ma la disillusione sarà tremenda, perché assoluta e totale. I facili entusiasmi sono infatti rapidamente raffreddati: nel caso italiano con clamorosa evidenza. Nel 1916, il nostro esercito è inchiodato sulla linea dell'Isonzo e ingaggia feroci battaglie che, al di là delle ingenti perdite in termini di vite umane, non portano risultati tangibili. Il morale delle truppe è basso e anche i fautori dell'intervento, sugli scranni del Parlamento, sono costretti a un esame di coscienza. Che guerra è mai quella che i nostri soldati stanno combattendo? Da più parti si era creduto che le nuove conoscenze scientifiche, la tecnologia, le armi moderne, avrebbero portato a un conflitto di precisione chirurgica. La realtà è ben diversa.
Non solo trincee, bombardamenti, filo spinato: la Prima Guerra Mondiale è combattuta anche in mare. Anzi, nei mari, perché le flotte coinvolte non solcano solo l'Adriatico e il Mediterraneo, ma il Mare del Nord, il Baltico, il Mar Nero, fino addirittura all'Oceano Indiano, Pacifico e Atlantico. Una dimensione geografica disegnata sulle acque che fa comprendere l'ampiezza del conflitto. Le battaglie navali della Grande Guerra, non per nulla, vedono la comparsa tra le altre - di una nuova potente arma d'azione, il sommergibile. Proprio un siluramento operato da un sommergibile tedesco - che affonda, il 7 maggio del 1915, il transatlantico inglese Lusitania all'interno di un piano di intervento contro i convogli che riforniscono la Gran Bretagna rappresenterà un evento cruciale per l'andamento del conflitto. Su quel transatlantico si trova infatti un gran numero di cittadini statunitensi. L'evento, con l'emozione e il dibattito che suscita oltreoceano, finirà per pesare notevolmente, anche se a quasi due anni di distanza, sulla decisione di intervento americana. La tutela della sicurezza delle acque a fini commerciali sarà una e non l'ultima fra le ragioni che spingeranno il colosso statunitense a prendere parte alla guerra, spostando inevitabilmente gli equilibri. Il risultato della Grande Guerra si gioca dunque pure sul mare: non solo in battaglie titaniche, ma anche in una complessa rete di fattori strategici.
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