Nuova Delhi, 2 dicembre 2002. Tramonto. Con un ape-taxi raggiungo il mercato serale di Dillhi Hat. È uno dei pochi posti tranquilli e popolari della città: si paga per entrare, dunque niente mendicanti. Ma questa è una sera strana: invece della solita quiete di piccoli commerci di scialli e statuette, c’è una manifestazione. Anche come manifestazione è strana: nessuno urla, niente strattoni, niente calca. Solo decine di persone che in silenzio offrono volantini allo straniero di passaggio. Volantini dove si ricorda che ancora nessuno ha pagato, nemmeno con un giorno di galera, per la strage di Bhopal, accaduta esattamente diciotto anni prima, fra il 2 e il 3 dicembre 1984, pochi minuti dopo la mezzanotte. Non solo, ma qualcuno sta provando a cambiare le carte in tavola e, con qualche spicciolo elargito come indennizzo, vorrebbe cambiare le imputazioni: la strage rischia di diventare semplice negligenza. E questo nessun cittadino indiano lo può accettare. È un po’ come se oggi, a Porta Portese o al Baloon, incontrassi una manifestazione per ottenere giustizia per Piazza Fontana. E si mettesse in dubbio che la legge è uguale per tutti. Dopo che ti sei imbattutto nella storia della Union Carbide, del suo ottimo pesticida e soprattutto della sua fabbrica indiana di Bhopal, è molto difficile resistere alla tentazione di raccontarla, quella storia.